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parte seconda. 215

cenario. Madonna Venere vi ha un per uno infinocchiati, e fa agli occhi con voi dal mattino alla sera. La pudica Febe non lascia d’avere i suoi capricci, Marte, se non l’ha con alcuno in particolare, è minaccioso con tutti, e Giove fia mai sempre splendido quant’altri e più. Grande è Saturno, ma lontano e piccolo all’occhio. Come metallo non ne facciamo gran conto; poco de apprezziamo il valore, molto il peso. Così è veramente; ma quando la Luna al Sol si marita, e l’argento all’oro si aggiunge, oh! allora il mondo bello diventa; chè tutto il rimanente conquistare facil cosa e piana riesce. Palazzi, giardini, gole di alabastro, guance rosate, ecco i tesori che ne porge il sapiente, la cui possanza nessuno fra noi, varrebbe non che a vincere, ad agguagliare!

L’Imperatore. Enimmatico mi riesce quel ch’egli dice, e nulla ostante non me ne sento meno convinto.

Rumori. Che rileva a noi tutto questo? — Viete buffonerie — ciurmeria — alchimia, — l’ho inteso a dire molte fiate — fora invano sperarlo. — E ove pure succedesse? — Pasquinata.

Mefistofele. Tutti così, perdio! E’ si meravigliano,

    gli adopera, in quanto servono nell’alchimia a denotare i metalli. Sappiamo che gli Astrologi erano nel medio evo giudicati abili a leggere pel firmamento e a preconizzare sopra il corso degli astri, il futuro destino delle nazioni e degl’individui; il qual pregiudizio durò fino alla venuta di Copernico, verso il principio del secolo sestodecimo, e anche più tardi, per quanto asserisce Seni, l’uomo di Wallenstein. Nel medio evo ogni reggia contava il proprio astrologo, matricolato furbone che doveva accordarsi a meraviglia col diavolo, se avveniva ch’e’ s’incontrassero. E però Mefistofele trovasi quanto prima in perfetta intelligenza con costui, e ne fa tosto uno strumento di frode e d’impostura.