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208 fausto.

L’Imperatore. Per ora, tregua alle chiacchiere: gli enimmi sono qui fuor di stagione, e l’usarne si aspetta a codesti messeri. Spiegati alla buona, e te ne saprò grado. Il mio pazzo antico temo forte non siasene partito pel gran viaggio. Occupa tu il luogo di lui, e vienmi da canto.

(Mefistofele sale i gradini del trono, e va a sedersi a sinistra dell’Imperatore.)

Rumori nella calca. Un nuovo pazzo! — Nuovo tormento! — Or donde vien egli? — Come mai s’è quivi introdotto? — Quel di prima è caduto? — Poneva egli sossopra ogni cosa! — Colui era una botte! — Questi è uno zolferino!

L’Imperatore. Or dunque, o miei diletti e fedeli, siate i benevoli da presso e da lunge; una stella propizia qui vi raccoglie; gli astri ne impromettono salute e felicità. Ma perchè dunque cotesti giorni scevri da cure, riserbati alla mascherata, cotesti giorni in cui tutti i nostri desiderii son vôlti solo a godere delle più squisite dolcezze, li andiamo noi consumando raunati a consiglio? Nulla di meno, dacchè lo giudicate a proposito, sia pure!

Il Cancelliere. La più eroica virtù, a guisa di sacra aureola, cinge all’Imperatore la fronte; nè altri che lui può esercitarla condegnamente: la giustizia! Ciò che gli uomini tutti prediligono, ciò ch’e’ pretendono e bramano, ciò di che non sanno far a meno senza sforzo, sta in lui amministrarlo al popolo. Ma, oh Dio! che vale la intelligenza dell’umano spirito, la rettitudine del cuore, la destrezza della mano, se una febbre ardente scommuove poi da imo a sommo lo Stato, e se il male va il male