Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/188

180 fausto.

che a ciascuno ella sta innanzi in forma della donna ch’egli ama.

Fausto. Che dolcezza! — ed oh, che struggimento. Io non so levarmi da quella vista. Ed è pure strano quel nastricello rosso posto come per vezzo intorno al suo bel collo, non più largo del dosso di un coltello.

Mefistofele. Tu di’ il vero; e il veggo io pure. Ella potrebbe anche portare il suo capo sotto l’ascella, però che Perseo gliel’ha reciso. E ta andrai sempre così pazzo delle illusioni! Orsù, vientene là in vetta a quel poggio, chè ti ricreerai come se tu fossi a Vienna nel Prater; e s’io non ho le traveggole, ivi è veramente un teatro. Ehi! che è quel che si prepara costa?

Servibilis. Si ricomincia subito. Una nuova farsa e l’ultima delle sette; chè tante appunto noi sogliamo darne quassù. Essa fu scritta da un dilettante, e sarà recitata da dilettanti. Signori, io mi vi scuso se sparisco, ma io mi diletto di alzare il sipario.

Mefistofele. Piacemi di trovarvi sul Blocksberg; chè qui siete in luogo degno di voi.