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tello. Qui su a mezza la costa è una roccia da dove vedrai con tua gran maraviglia come Mammone arda per tutta la montagna.

Fausto. Che strano chiarore si accende colaggiù alle falde, e s’interna fin entro le più profonde gole del monte! Là sorge un fumo, colà esalano pingui e da quel lato balena fuori dai vapori una luce che, trasformandosi, ora discorre per l’aria in sottili filamenti, ed ora prorompe a guisa di grandi polle d’acqua. Ivi se ne va via serpendo per la valle, diramata in cento rigagnoli, e là oltre, s’ingorga e frange giù tra i macigni. Qui da presso piovigginano scintille, simili a sparnicciata arena d’oro. — Ma guarda, come quella petrosa giogaia si affuoca tutta lunghesso la cima!

Mefistofele. Non ti pare che il nostro Mammone abbia superbamente illuminato la sua reggia per simil festa? O tua gran ventura che hai veduto questo! Parmi già udire il furibondo accorrere dei convitati.

Fausto. Come imperversa la procella per l’aria! e che fieri buffi mi dà dietro nella coppa!

Mefistofele. Ghermisci i vecchi scheggi di quella rupe, chè il turbine non li rovini giù nel profondo. Una grossa nebbia raddensa la notte. Odi risonare di grandi scrosci la foresta, e i gufi svolazzare di qua e di là pieni di spavento! Odi scheggiarsi le colonne di questi palagi di eterna verdura; — odi il cigolare e il frangersi dei rami; il violento squassarsi dei tronchi, lo svellersi e lo squarciarsi delle radici! E rami e tronchi e ceppi s’intralciano, si avviluppano, si dirompono, e mirando vanno giù