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148 fausto.


MEFISTOFELE entra.

Mefistofele. Che è di te? non ti viene ancora in noia cotesta sciocca tua vita? Come poi la compiacerti in essa sì a lungo? Che si voglia una volta assaggiarne non disapprovo, ma per passar tosto a cose nuove.

Fausto. Io vorrei che tu avessi altro da fare che molestarmi nelle mie ore buone.

Mefistofele. Eh! se tu dici da senno, io non sarò in gran fastidio per piantarti lì; chè in vero c’è ben poco da guadagnare con un compagno così rustico e lunatico e pazzo come sei tu. Ve’, gli si sta tutto ’l dì innanzi con le man piene, e non gli si caverebbe di bocca con le tanaglie quel ch’egli abbia o non abbia in piacere.

Fausto. Deh, come la piglia bene pel suo verso costui! Sta a vedere ch’ei vuol essere ringraziato della noia che mi dà.

Mefistofele. Meschinissimo mortale! qual vita, dimmi, sarebbe stata la tua senza di me? Io son quegli che ti ho guarito delle tue dolorose fantasie, e s’io non era, tu te ne saresti già da gran tempo andato dal mondo. Che stai tu qui a intorpidire, annidato nei fessi delle rupi e nelle spelonche, come un allocco? O che pastura vai tu aormando carpone sal putrido muschio, fra i sassi e il guazzo, come un rospo? Oh, bello e dolcissimo passatempo! Va, che pizzichi pur sempre del dottore.

Fausto. Un pari tuo potrebb’egli mai comprendere qual nuova forza io mi derivi dall’andarmi così aggirando per queste selvagge solitudini? Oh, se tu