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stiano, e nè pure gli parve che egli pagasse troppo grave scotto. Oh, quanto, sclamava, io devo odiare me medesimo dell’aver a quel modo disertato e moglie e professione! Ohimè, questo pensiero è un coltello al mio cuore. Mi avesse ella almen perdonato in questa vita!

Marta piangendo. Pover’uomo! sì sì, io gli ho perdonato da un pezzo.

Mefistofele. Ma, lo sa Iddio, fu più sua colpa che mia.

Marta. Egli mente! Oh cielo! ha cuor di mentire con un piè nella fossa!

Mefistofele. Sì, certo; egli dava gli ultimi tratti, e narrava ancora fandonie, per quel ch’io me n’intenda. Egli diceva: Io non ho avuto tempo, no, di stare a dondolarmi! mai un’ora di requie io non ho avuto. E prima ebbi a far de’ figliuoli, e poi a provveder loro il pane; e pane a rigore di termine, nė mai ho potuto mangiarmi il mio boccone in pace.

Marta. A tal segno egli aveva dimenticato la mia gran fede, il mio grand’amore, quel continuo affaccendarmi il giorno e la notte!

Mefistofele. Oh, anzi, egli se ne ricordava ad ogni ora. Egli proseguiva: Quand’io partii da Malta, io pregai caldamente per mia moglie e i miei figliuoli, e quindi anche il cielo ne fu propizio in modo, che il nostro brigantino prese un legno turco che portava una preziosa mercanzia al gran Sultano. Il valore ebbe ampia ricompensa, e partitosi il bottino fra noi, io n’ebbi, com’era di dovere, la mia bella porzione.

Marta. Come? Che n’ha fatto? L’avrebbe forse seppellita?