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134 fausto.

Mefistofele entra. Prendo ardire di venir innanzi a dirittura, e ne chieggo perdono a queste signore. (Si ritrae rispettosamente dinanzi Margherita.) Avrei due parole da dire alla signora Marta Spadaccini.

Marta. Son io dessa. Che desidera, signore?

Mefistofele piano a lei. Ora la conosco, e basta. Ell’ha una visita di molto riguardo, e non voglio sturbarla. Mi perdoni dell’ardimento; tornerò dopo desinare.

Marta. Tu non te lo indovineresti in mille, figliuola; questo signore li ha tolto per una damigella di conto.

Margherita. Io sono una povera fanciulla. Dio mio! la sua bontà è molta, signore. Questi ornamenti non son miei.

Mefistofele. Oh, non tanto per gli ornamenti, quanto per quel suo bel portamento, quella nobile sua guardatura. Quanto son lieto di poter rimanere!

Marta. Che reca ella dunque? Son molto desiderosa....

Mefistofele. Io vorrei recare più liete novelle. Spero nullameno ch’ella non me ne vorrà male. Suo marito è morto, e le manda i suoi saluti.

Marta. È morto? quella buon’anima! Ohimė, misera! Mio marito è morto! Io vengo meno.

Margherita. Via, cara signora, non disperatevi.

Mefistofele. Udite la storia lamentevole.

Margherita. Però io non vorrei mai amare ne’ miei dì; chè una simil perdita mi affliggerebbe a morte.

Mefistofele. Al piacere sta a lato il dolore, e al dolore il piacere.