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guadagna. Così detto intascò fermagli e collana e anella e ogni cosa, giusto come fossero state bazzecole; e non ringraziò più o meno di quel che avrebbe fatto di un cistello di noci. Il cielo ve ne renda il merito, disse: ed esse ne rimasero grandemente edificate.

Fausto. E Ghita?

Mefistofele. Ghita è tutta sturbata; nè sa che si faccia o si voglia. Pensa dì e notte a’ gioielli; e più assai a chi li ha recati.

Fausto. Il travaglio di quella poveretta mi passa il cuore. Va tosto, e procurale nuovi ornamenti; e più ricchi; chè quei primi, vedi, erano dozzinali.

Mefistofele. Oh, sì certo! tutto è balocco da fanciulli per un tanto signore.

Fausto. Va, va; fa quel ch’io ti dico. Mettiti attorno alla vicina; cacciatele in casa; non essere un diavolo di stucco, e reca nuovi regali.

Mefistofele. Sì, magnifico signore, di tutto l’animo. (Fausto parte.) Un pazzo innamorato come costui farebbe volare in aria a modo di razzi e sole e luna e tutte le stelle per dolce trastullo della sua diva.




LA CASA DELLA VICINA.


MARTA sola.

Dio perdoni a mio marito; ma egli si è portato meco assai malamente. Se ne va fuori a dirittura pel mondo, e lascia me sola a tribolare sulla paglia. Ed io non gli ho propriamente mai dato un fastidio;