Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/136

128 fausto.

contento del tuo cuore, o fanciulla, guida la tua mano e quando distendi il nitido tappeto in sulla tavola, e quando spargendo l’arena descrivi questi bei fregi sul pavimento. Non sei tu nata in cielo, o fanciulla? tu, che di questo tugurio sai fare un paradiso! E qui! (Alza una cortina del letto.) Che soave tremito mi assale! Io qui potrei volgere lunghe ore. O natura! tu qui entro componevi quel nuovo angelo, e rallegravi di soavi visioni i suoi riposi. Qui giacque la pargoletta, piena il tenero seno dell’ardore della vita; e qui quella divina immagine svolse il purissimo e santo suo tessuto.

E tu! perchè sei tu qui? Ahi, affanno! — Che vuoi tu qui? Perchè il tuo cuore è aggravato? Povero Fausto, io non ti riconosco più. Che aura è questa che mi spira d’attorno? son io forse affascinato? Poc’anzi io anelava impaziente al piacere; ed ora mi lascio andare ai teneri vapeggiamenti dell’amore. Mutiamo noi d’animo per ogni mutare dell’aria?

Ed oh, se tutt’a un tratto ella entrasse qui! come ti precipiteresti a far ammenda del tuo oltraggio! Come ti cadrebbe dall’animo ogni orgoglio! e giaceresti, ridotto a nulla, a’ suoi piedi.

Mefistofele. Presto! Io la veggio venire!

Fausto. Fuggiamo! fuggiamo! Io non vi torno mai più.

Mefistosele. Io ho qui una cassetta di non leggier peso, ch’io son ito a raccogliere so io dove: presto, ponetela nell’armadio, e vi so dire ch’ella ne sarà fuori di sė. Vi ho messo dentro alcune cosucce per guadagnarne altre. A’ fanciulli i trastulli.