Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/131


parte prima. 123

        E a chi non pensa
        Sol si dispensa;
        Quei l’ottien senza cura.

Fausto. Che fandonie vuol venderne costei? Io ne ho mezzo rotto il capo. Egli è come se io udissi cento mila pazzi schiamazzare tutti quanti insieme.

Mefistofele. Basta, basta, miserabile sibilla. Dà qua il tuo bevereccio ed empine il gotto sino agli orli. Non può fare alcun danno all’amico mio, ch’egli è uomo molto in là nei gradi, ed è già uso a ber grosso. (La Strega presenta con gran cerimonie la pozione in una tazza; mentre Fausto l’alza alla bocca, n’esce una fiammella.)

Mefistofele. Animo, giù tutta a un fiato. Ancora una gorgata! Ti sentirai tosto ringalluzzare il cuore. Stai a tu per tu col diavolo, e ti fa paura una fiammicella? (La Strega scioglie il circolo. Fausto ne esce.)

Mefistofele. Or fuori più ratto che possiamo. Tu non devi star quieto.

La Strega. Desidero che buon pro vi faccia quel centello.

Mefistofele. E s’io posso fare alcun servigio a te, non hai che a dirmene un molto alla Valburga.

La Strega. Togliete questa canzone, e cantatela di quando in quando, che ne proverete effetti singolari.

Mefistofele a Fausto. Orsů, vientene, e lasciali condurre a me. È necessario che tu traspiri, affinchè il beveraggio ti faccia buon giuoco dentro e fuori. T’insegnerò di poi a godere di un nobile ozio; e per una allegria che ti sentirai germinare nel petto, co-