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vecchie ossa, e non isfracelli te, e i bambocci tuoi spiriti, quei visi di gallo! Tieni tu oggimai sì poco conto del farsetto rosso! Non hai tu più occhi in capo da conoscere la penna del gallo? Ho io travisato la mia faccia? Ho io a dirlo da me il mio nome?

La Strega. O signore, perdonatemi così villana accoglienza. Ma io non veggo il piè di cavallo. E i vostri due cervi dove son essi?

Mefistofele. A questa volta ne esci netta, che per verità è un buon pezzo che non ci siamo veduti. L’umana cultura, che liscia e lecca tutto il mondo, si è stesa fin sul diavolo. I fantasmi settentrionali son iti in fuga; e dove vedi tu ora corna e code e unghioni? E quanto al piè, com’io non posso sbrogliarmene, e mi farebbe vergogna fra la gente, così da più anni uso polpe posticce, a somiglianza di tanti giovinetti.

La Strega ballando.

        Dalla gioia mi gira il cervello;
        Oh, che onore! Satan nel mio ostello!

Mefistofele. Donna, non mi dire questo nome.

La Strega. Perchè? Che vi ha egli fatto?

Mefistofele. Da gran tempo è registrato al libro delle favole; ma gli uomini non sono per tanto migliori. Si sono disfatti del Maligno, ma i maligni sono rimasi. Chiamami barone, e starà a dovere. Son cavaliere anch’io come altri; nè tu metti in forse la nobiltà del mio sangue. Guarda, quest’è la mia arme gentilizia. (Fa un gesto indecente.)

La Strega, ridendo smascellatamente. Ah, ah! le son delle vostre. Voi siete ancora quel furfantaccio che foste sempre.