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parte prima. 117

Gatto e Gatta. O, lo sciocco! o, il gocciolone!

        Non conosce il calderone,
        Non conosce la pignatta.

Mefistofele. Che bestial, villana schiatta!

Il Gatto. Nella seggiola ti assetta,

        E to’ in mano la scopetta.

(Induce Mefistofele a sedere.)

Fausto. (Il quale in questo frattempo stava guardando in uno specchio, ora avvicinandovisi, ora allontanandosene.)

Che miro? Che angelica forma mi si mostra in quel magico specchio! O, dammi, Amore, le rapidissime tue ali, e ponimi nella dimora di costei! Ahi! quand’io non rimango fermo qui, — quando tento di farmele da più presso, io non la veggo più se non come velata da una nebbia. Bellissima immagine di una donna! E può la donna essere così bella? O in quel caro corpo mollemente disteso vegg’io quanto di più leggiadro fosse mai figurato nel cielo? Avvi nulla in terra che possa pareggiarsegli?

Mefistofele. Certo, allorchè un Dio, dopo aver sudato sei dì, ha in ultimo detto bravo a sė medesimo, ei non dee aver fatto una goffa cosa. Consola i tuoi occhi per ora in quella vista; ed io ben so dove rintracciarti sì fatta rarità. Beato chi ha la ventura di menarla sposa.

(Fausto guarda tuttavia nello specchio. Mefistofele stendendosi nella seggiola e agitando la scopetta segue a dire.)

Io seggo qui propriamente come un re sul trono; ho lo scettro in mano, e sol mi manca la corona.

Le Bestie le quali sinora sono state facendo fra