Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/106

98 fausto.

Lo Scolaro. Io sono sì stordito da quanto ella mi dice, che mi par come di sentirmi girare nella testa una ruota di mulino.

Mefistofele. Appresso vi converrà darvi immantinente alla metafisica. Per essa verrete alla piena cognizione di cose che non capiranno mai in cervello umano. Se non che, e per ciò che vi cape, e ciò che non vi cape, avrete sempre in pronto un parolone. Non perdete d’occhio che in questo primo semestre vi bisogna stare sottilmente sulle regole. Avrete cinque lezioni il dì, e al tocco della campana sederete al banco. Inoltre preparatevi prima ben bene di quello che avete ad udire. Studiate di per voi il manuale a casa, acciò veggiate che nulla s’insegna in iscuola che non si legga in esso; e nondimeno scrivete a furia come foste sotto il dettame dello Spirito Santo.

Lo Scolaro. Non fa bisogno ch’ella me lo raccomandi molto, chè ben penso quanto debba riuscir profittevole. Chi ha messo il nero in sul bianco può andarsene a casa sicuro come una rocca.

Mefistofele. Ma su, sceglietevi una Facoltà.

Lo Scolaro. Io non saprei accomodarmi alla giurisprudenza.

Mefistofele. Nè io saprei darvene gran biasimo, ch’io so il nuovo e il vecchio di questa scienza. Le leggi, simili a un’incurabile pestilenza, si dilatano tacitamente di terra in terra, e si continuano di generazione in generazione; la ragione si trasforma in insensatezza, e il beneficio in tormento. Guai a te, perocchè discendi da chi fu prima di te! Della legge nata con noi, di quella, ahi miseri! non è mai fatto parola.