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XLVII
A MIO PADRE
Per l’inondazione del Po e del Mincio accaduta nel 1792.
No, non è ver che sia virtude un vano
nome: è un bisogno dei mortali. Pave
chi altrui fe’ danno, e palpita
solo al pensier d’un punitor lontano.
5Mira quell’empio timido ed ansante
destarsi, o padre, dall’oscena ebbrezza;
mira sull’orlo gemere
l’irrequieto avaro palpitante.
Videro il nembo e il rotolar da lunge
10udir del tuono. Nell’ammanto avvolto
delle notturne tenebre,
sovra un carro di fuoco ei giunge, ei giunge
Ecco il signor dell’universo! Ardenti
svelan la faccia sua lampi striscianti!
15Scendete, o re, dal soglio,
temete, o grandi, e vi prostrate, o genti.
Che sei d’innanzi a lui, schiatta superba
di tua ragion, che della terra un verme?
Che sei, del fango figlia,
20che fragil mèsse di falciabil erba?
Piega la fronte, Etruria, il guardo abbassa,
lava nel pianto la stoltezza, e spera
ancor non giunge il vindice
giorno del suo furor: t’avvisa e passa.
25Altrove scende: lo precede il nero
spirto devastator delle procelle,
e il fragoroso turbine
agli ampi passi suoi spiana il sentiero.