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68 | odi |
Giá più non parla: lacrimando Venere
90fuggì dal letto, e gittò Amor la face.
Ed io quell’urna eressi, ove il suo cenere,
sacro a chi ben amò, riposi in pace.
Ma forse il ciel può ancor placarsi e arridere
alle tue preci, ché pietoso è Giove:
95se un decreto fatale ei deve incidere,
nel paterno suo cor s’ange e commove.
Umil l’implora, e, de’ miei detti memore,
offri te stesso per la vita sua;
ma sappi, aimè! che Nice salva, immemore
100del sacrificio, non sará piú tua. —
Disparve, e mi destai. Nice insensibile
scordi pur quel ch’oprò, quello ch’io fui:
accetto il duro patto: è men terribile,
che vederla morir, cederla altrui.
105Sia di lei degno il nuovo amante; indocile
alma non nutra per geloso ardore;
alla pietade e alle carezze docile
abbia la mano, e mi somigli al core.
Di me che fia? Presto io morrò di doglia...
no Febo, t’intendo, è mia quell’urna! Serra
tu queste luci, e la mia fredda spoglia
copri, piangendo, di pietosa terra.
Allor vedrai Nice le chiome frangere,
memore ancor dei non estinti amori,
115e il mio rival, benché felice, piangere
e su la tomba mia sparger dei fiori.