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libro primo 65

XXXVII

Il sogno

(1789)

     Renda il pietoso ciel vano l’orribile
sogno, e vuote di corpo oscure larve
sian quella tomba e quel nume terribile,
che al rinascer dell’alba oggi mi apparve.

     5Bondi, cui tanto i toschi geni arrisero,
che al cantore d’Enea t’assidi a lato,
offri candido voto, e fa’ che il misero,
dolente augurio non confermi il fato.

     Io non offersi all’aureo Pluto vittime
10di famiglie indifese ed innocenti,
né del tranquillo suol l’onde marittime
avido corsi a depredar le genti.

     Non arsi in corte di celata invidia,
turpe ministro d’ambiziose brame,
15né ai crudeli clienti io tesi insidia,
né delusi gli amici, ospite infame.

     Né delitto è l’amar. Gli dèi non sdegnano
dei cuor la prece per amor tremanti;
essi, che fausti sul creato regnano,
20vuonnoci lieti e ci desiano amanti.

     Le ruote omai del carro suo stellifero
tergea la notte nella stigia gora,
e del sol messaggier scendea Lucifero,
l’oro guidando e la compagna aurora;