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libro primo | 47 |
D’amor, se facile, su l’arpa celtica
30inalza all’etere l’opre piú nobili,
dell’ali immemori sul crin le pendono
tacendo i venti immobili.
Godi da saggio, meco di «málaga»
vuotando un calice, che desta l’utile
35facondia e l’avida sete può spegnere
di un desiderio inutile.
Ché brevi e fragili sono del vivere
i giorni, e scendere tutti alle squallide
sedi inamabili dobbiam dell’Èrebo,
40ombre dolenti e pallide.
Né, se con prodighi doni o con vittime
tenterai timido l’illacrimabile
Pluto, la forbice potrai sospendere
del fato inesorabile.
45Non alla nordica figlia di Alessio
giovò di gloria poggiare al culmine,
non al Prometeo filadelfiaco
rubare a Giove il fulmine,
né in campo vincere al Prusso o al profugo
50Scozzese il regio vetusto genere:
curvârsi, e caddero; e un’urna tacita
freddo ne chiude il cenere.