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46 | odi |
XXVII
Ad Antonio Cerati
(1786)
Non piú da Cauro, di neve prodigo,
curvati gli aridi boschi s’adirano,
ma i lieti zefiri per l’ampio oceano
soavemente spirano.
5Giá s’ode, obbrobrio dei re cecropii,
il miser’Itilo con voce fievole
sul nido piangere ed il rio ripeterne
il suono lamentevole.
Dal chiuso corrono ovile al pascolo,
10che il sol piú tepido seconda e irradia,
le gregge, e i satiri sui neri tornano
pingui colli d’Arcadia.
Al raggio languido della cornigera
luna le Grazie danzan con Venere,
15e i passi, in cerchio congiunte, alternano
su le fresch’erbe tenere.
Cerati placido, cui sempre lucida
la mente serbasi, caro alle amabili
suore castalie, ricco di candidi
20costumi inalterabili,
vieni del patrio fiume sul margine,
e nosco assidasi Lidia la nubile,
presso quel platano, cui ’ntorno s’agita
la vitrea onda volubile.
25Nera ha la morbida chioma e le fulgide
pupille, tenue la bocca ed umido
il labbro, rosea la molle guancia,
il sen di latte tumido.