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odi | 445 |
disseti il labbro, né di merto povero
dall’Ostro il merchi e sul Faliseo monte
porgi alle muse e alla virtú ricovero,
se scritto è in ciel che tu sostenga il pondo
dell’auree chiavi del supremo tempio,
e la pace d’Augusto e i dotti al mondo
giorni tu renda sul mediceo esempio,
quanta il destin gloria ti serba! Immensa
bontá d’un Dio, tu dall’eterno spazio,
propizia ascolta i voti miei, compensa...
XXXVI. p. 138: Nell’ediz. del nepote non si legge l’ultima strofe, che, però, è riferita in nota.
XXXVIII. p. 141: L’abbiamo ristampata quale fu scritta nel 1791, in occasione dell’avvenimento al trono di Toscana del granduca Ferdinando III. Nell’ed. del nepote mancano affatto i versi 25-36, e si hanno inoltre queste varianti:
della social perfidia;
v. 38: del cuor, gli amici, l’onore, il vergine...
XL. p. 145: Nel 1791 era stata diretta a don Antonio di Gennaro duca di Belforte e, per testimonianza del nepote (I, 343-45), leggevasi nel ms. con queste varianti:
vv. 13-15: Dallo scosceso Taigeta scendono
gli eguali agli avi spartani intrepidi,
Grecia si desta, ecc. ecc...;
vv. 21-24: Grandeggia Sparta, Tebe rinnovasi,
Alfea risorge, Corinto il bimare,
Larissa, Argo, Micene
e la cecropia Atene;
vv. 25-28: mancano;
vv. 29-31: Salve, dell’arti madre palladia,
giá i dissepolti licei t’additano,
gli archi e le tombe gravi...;
vv. 33-34: Tornan gl’illustri giorni di Pericle,
ma ricchi d’opre guerriere e libere;