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non prima avvezzo a impallidir, spavento;
folgore in guerra e tepidetto in pace
soffio di vento.
Ma, aimè! percosso da febbril saetta
langue qual astro in nubiloso cielo,
né l’ardua fronte e ’l sacro allòr rispetta
pallido gelo.
Vuotiam, Fantoni, nuove tazze al nome
e alla salute dell’eroe, festose
cetre agitiamo e inghirlandiam le chiome
d’apio e di rose.
Le rime, figlie d’un scherzar felice,
oda il canuto Licida geloso,
della trilustre biondi-bruna Nice
amante e sposo.
Te del rossore, vaga verginella,
sotto di giogo placido ritiene:
a me dá leggi facili la bella
candida Argene.
XIV. p. 24: Nell’ed. a cura del nepote Agostino è diretta a Francesco Micali, con queste varianti:
vv. 29-36: Giovin la morte rapi Achille; il chiaro
Titon vecchiezza illanguidi: fia meco
prodigo forse il ciel di giorni, e avaro
forse sia teco?
Ride a te il volgo, mentre l’arche gravi
guata di merci che l’industria aduna,
e or recan forse peregrine navi
nuova fortuna.
XVI. p. 27: In varie edizioni reca anche l’intitolazione Al sig. marchese Federico Manfredini, come nella ediz. del 1785 e in quella del 1792: anche il nepote riferisce questa intitolazione. Le prime edizioni recano queste varianti:
vv. 15-16: il Britanno magnanimo
dei ceduti trofei spira vendetta;
vv. 49-50: alme del sol nel vivido
raggio, temprate all’utile fatica;