400Senza arrossir ne prenderò la veste:
le lunghe trecce del mio crine oscuro 10giá recisi, di sembianza meste,
inutile ornamento, che non curo:
aborrisco di vezzi esser consorte, 405che non mi procacciâr che uno spergiuro.
Si, Rinaldo, permetti che io mi porte
ai piedi tuoi; schiava, e nei ferri ancora
quanto piú dolce mai sará mia sorte!
Qual cura io non avrò di te! Qualora 410ti condurrá di nostre mura innante
il truce nume della guerra, ognora,
per il periglio di tuoi dí tremante,
il sen ti coprirò di propria mano,
d’acciaio piú duro che ’l diamante. 415E quel brando, terror dell’Ottomano,
ti cingerò. Che deggio dirti? Alfine,
per piacerti, seguace, ove l’insano
della pugna furor non ha confine,
di perderti temendo, palpitante 420sarò teco fra ’l sangue e le ruine.
E l’oro del tuo scudo, e la pesante
corazza non potran tôrre il gelato
timor dal sen d’un’infelice amante.
Temendo, ad ogni dardo che lanciato 425sará dal braccio del nemico crudo,
che, benché infido, il cor ti sia piagato,
d’Armida il seno, il sen tremante, ignudo,
dalla mortal saetta volatrice
ti coprirá, ti servirá di scudo. 430Sotto il tuo ciglio spirerò felice,
se tutto il prezzo tu conosci allora,
Rinaldo, d’un amor tanto infelice!
Ma che dico?... E ove mai la speme ancora
mi trasporta? Ah! lo so, giá pronto sei 435a risponder crudele a chi t’adora:
— T’han dovuto tradir gli affetti miei,
Armida. Un Nume, che si fa temere,
piú grande adoro, che i tuoi vani dèi.