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XIII
All’abate Giulio Cordara,
che inviò all’autore la sua canzone di Gigina.
Dal vorticoso Tanaro,
che scuote disdegnoso
il ponte rumoroso,
scrive Labindo a te;
5Labindo, a cui le garrule
Gioie solean un giorno
pargoleggiar d’intorno,
su l’inesperto piè.
Edace Cura, torbida
10madre d’avari affanni,
or con i foschi vanni
su di me siede e sta.
E il Fato, inesorabile
nemico del perdono,
15assiso in ferreo trono,
è sordo alla pietá.
Pende la muta cetera
dal solitario muro;
la cetra per cui furo
20scritti in diaspro i re,
che alle toscane e liguri
donzelle vergognose
e alle latine spose
ignota ancor non è.
25Vi tesse Aracne timida,
del folle ardir pentita,
l’immagine punita
del primo suo lavor.