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336 | idilli |
5
Allor che l’altrui greggia io conducea,
orfano, a pascolar, giovin pastore,
di folle brama d’ambizion pascea
l’intollerante aviditá del core;
a un’anima impaziente era molesta
l’aurea tranquillitá d’una foresta.
6
Abbandonai le patrie selve, e volsi
ramingo il passo alla cittá: timore,
sdegno, speranza, pentimento accolsi,
or di gioia ministri, or di dolore:
pietoso cittadin mi terse il ciglio,
al sen mi strinse e mi educò qual figlio.
7
Ma presto in braccio a una fatal ricchezza
mi lasciò senza guida; in preda a cento
tumulti io consumai la giovinezza,
senza che mai potessi esser contento;
lo stolto desir mio cercando giva
quell’ignoto piacer che lo fuggiva.
8
Credea talvolta, dopo lungo affanno,
trovata aver la desiata pace,
ma non era che un’ombra ed un inganno
meno vano degli altri e men fugace:
s’io piú tardava a discoprir l’errore,
era il mio pentimento anche maggiore.
9
L’occhi-azzurra cagion del mio diletto
divenne infida. Riconobbi in essa
l’antico inganno: mi stringeva al petto;
ma solo amava, l’infedel, se stessa;
eran la meta degli avari ardori
l’orgoglio femminil e i miei tesori.