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notti | 295 |
IV
Per un aborto
1
Vetro feral, che un’imperfetta imago
racchiudi in sen dell’esistenza umana,
e di saper all’intelletto vago
la motrice disveli azione arcana
della natura, che, in oprar delusa,
dell’esser, che non die’, la morte accusa;
2
lucida tomba, che al paterno ciglio
scopri un tenero oggetto di dolore,
in te ritrovo non compito un figlio,
dolce fatica di un deluso amore;
in te una sposa, c’ho perduta, e... Ahi quanto,
figlio, tu costi al genitor di pianto!
3
Pietosa al mio dolor, l’alba rinasce,
ma rinascon le lacrime con lei;
di tristezza il mio cor solo si pasce,
son un languido fonte i lumi miei;
mi turbano le chete eterne notti
con l’immagine tua sonni interrotti.
4
Ma per chi piango? Il figlio mio non sente,
esser non ebbe e non esiste adesso.
No, ch’io non piango il figlio (il cor non mente):
piangendo il figlio mio, piango me stesso;
piango il destin, che mi die’ vita e agli anni
mi consegnò, per tollerar gli affanni.