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notti | 293 |
5
Invan la mesta genitrice, invano
la sbigottita tenera famiglia
dal freddo tronco mi guidar lontano,
con dolci preghi e lacrimose ciglia;
lungi da te, la muta soglia come
stringessi ancora, io ti chiamava a nome.
6
Ahi! da quel giorno di perduta pace,
d’amaro pianto il mesto cor si pasce,
e nel mio pianto la memoria edace
de’ languenti miei di muore e rinasce,
e parmi innanzi agli occhi ognor presente
il tradito da me figlio innocente.
7
Senza il mio fallo la giustizia eterna
avrebbe il colpo, che vibrò, sospeso,
e la doglia feral, che mi governa,
un mesto padre non avrebbe offeso;
tu vivresti... io vivrei; ché, di te privo,
crede il mondo ch’io viva, e piú non vivo.
8
Ma stolto! è ver che tu chiudesti al giorno
l’ignare ciglia e mi lasciasti solo,
ma pien d’insidie è questo reo soggiorno,
da cui spiegasti fortunato il volo:
non v’alberga che il duolo, il pianto e il lento
avaro inesorabil pentimento.
9
Dove tu sei, caro a Colui che regna,
vivi e ti bèi nei sommi pregi sui;
candida pace e caritá t’insegna
ad amar gli altri e a contemplarli in lui:
sono del mondo insidiosi i vezzi,
sotto nome mentito, onte e disprezzi.