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222 | scherzi |
XVI
Il giudizio di amore
(1783)
Sorgea quel dí, che sul temuto trono
delle ragioni altrui giudica Amore:
udimmi a pena il cieco mio signore,
che mi disse: — Chi sei? —
Labindo. Labindo io sono.
Amore. Il tuo stato qual è?
Labindo. Nacqui pastore,
ma lasciate ho le selve in abbandono.
Amore. Ami?
Labindo. Aurisbe, che altrui si diede in dono.
Amore. Dunque che vuoi da me?
Labindo. Voglio il mio core.
Amore. Si chiami Aurisbe.
Aurisbe venne; in volto
guatommi altera, com’è suo costume,
e ridendo gridò: — Povero stolto!
Il cuor che cerca è mio, non è piú suo,
né posso... — Taci — le rispose il nume; —
rendigli il cuor, se non vuoi dargli il tuo.