Pagina:Fantoni, Giovanni – Poesie, 1913 – BEIC 1817699.djvu/160

154 odi



     25Né paventare, se ti guata torbido
l’odio dei grandi con il volto arcigno;
se versa sopra la tua fama invidia
l’amaro fiele di un censor maligno.

     Soffre ciascuno i suoi disastri; lubrico
50il male in terra e il ben passa e non dura;
e, s’è tarda a partir, piú tollerabile
rende tempo e pazienza ogni sventura.

     Me pur tormenta ingiusta sorte, turbano
cure invidiose del mio cuor la calma,
35m’opprime morbo di sciagure e negano
languidi nervi di servire all’alma.

     Di tanti amici, accanto a me non veggio
un solo amico pietoso in volto,
né sollievo al mio duol la Cocchi armonica,
40né la piena di un dio Temira ascolto.

     Vaga adoro Angioletta, a cui rideano
tutti della modestia i vezzi intorno,
e questa, ahi! cadde di una corte vittima,
e. al ciel, donde partí, fece ritorno.

     45Amo Italia, ove nacqui, e miro il vizio,
dei buoni ad onta, dominare in seggio;
e i dissidenti cittadini stolidi
far plauso al male ed appigliarsi al peggio.

     Pure non cedo debolmente al cumulo
50di tanti mali, ma in secreta parte
vivo sperando e le noiose io dissipo
cure, vegliando su le dotte carte.

     Chi l’alma ha pura e di se stesso è conscio,
non cede agli urti di volubil sorte,
55nella virtude sua si avvolge intrepido,
e sorride tranquillo in faccia a morte.