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DI FRANCESCO REDI. | 75 |
e fredde, sicchè parea morto dal mezzo in giù; continuavano però di quando in quando i tremiti e le convulsioni nell’ali con qualche poca di vivezza nella testa, e così dimorò fino a vent’ore e tre quarti, e allora si morì, essendo scorse appunto cinqu’ore da quel momento nel qual fu ferito. Tosto che fu morto, essendo venuto a trovarmi il dottissimo e celebratissimo Signor Niccolò Stenone, curioso di osservare in quale stato si sarebbon trovate le viscere ed il sangue di quel piccione avvelenato, mi consigliò a farne pugnere, senz’altro indugio, un altro, come feci, con tre ferite nella stessa parte del petto dove fu punto il primo, ma però senza strappargli penne: e questo secondo piccione si morì in capo a mezz’ora, avendo intirizzate e distese le cosce e le gambe come il primo; onde rifeci subito l’esperienza in due altri, i quali, ancorchè feriti tre volte per uno, non solo non morirono, ma non parve nè meno che se ne sentissero male.
Lasciai riposar lo scorpione tutta la notte, e la mattina seguente, alle quattordici ore, lo necessitai a pugnere un altro piccion grosso: prima che lo pugnesse, vidi nella cuspide del pungiglione una gocciolina minutissima di liquor bianco, la quale nel ferire entrò nella carne; e di più lo