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DI FRANCESCO REDI. 153

cano con ansietà il sole e l’aria aperta e sfogata, sfuggono in quel modo migliore che possono l’ugge malefiche e con movimenti invisibili si storcono per iscansarle; e chi sa, se gambe avessero e non fossero così altamente radicate in terra, che non fuggissero da chi vuole offenderle, ed offese e straziate non facessero i lor versi ed i loro lamenti, se organi possedessero disposti e proporzionati all’opra della favella?

Mi sovviene a questo proposito, ch’essendo io del mese di Marzo in Livorno, vidi un certo pomo, o frutto marino abbarbicato nella terra tra gli screpoli d’uno scoglio: la grossezza e la figura di esso pomo era come quella d’una arancia di mediocre grandezza, di quel colore per appunto che hanno i funghi porcini, che però fungo marino da’ pescatori è chiamato; ed avendolo colto e volendo vederne l’interna struttura, appena cominciai col coltello a pungerlo ed a tagliarlo, che vidi manifestissimamente che moto avea e senso, raggrinzandosi ed accartocciandosi ad ogni minimo taglio e puntura; e pure nella sua interna cavità, le pareti della quale erano bianche lattate, non conteneva altro che cert’acqua limpidissima di sapore di sale ed alcuni fili bianchi, i quali da una parte all’altra delle pareti senz’ordine alcuno erano