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era ancora così lontano. Ai loro occhi pareva esaurita la fonte del bello, svigorita, impotente la fantasia umana per nuove creazioni, e somma lode essi riponevano nell’accostarsi ai grandi modelli, ritentando, rifacendo, raffazzonando a modo loro quello che ammiravano in questi.

Non è impossibile a un occhio sagace il sorprendere tali perturbamenti e interpolazioni surrettizie: vi ha sempre qualche cosa, sia nel pensiero, sia nella lingua e nello stile, che vi fa dire: Qui non ci è Omero, qui non ci è Esiodo.

Di che non posso prescindere dall’arrecare una prova. Chi leggerà in questo volume lo Scudo d’Ercole, dopo letta la descrizione dello scudo, esclamerà certamente: Se tali e tanto scene erano effigiate sul convessa di quello scudo, quanto enormi ne doveauo essere le dimensioni! E infatti per quanto alti, tarchiati e robusti possiamo imaginare gli eroi, uno scudo siffatto è da noi concepito come sproporzionato