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     E segno di ludibrio ai Divi eterni
     Fatto lo avrei, se cedere ei potea
     Al mio valor le insanguinate spoglie.»
Disse: ma Cigno squassator di lancia
     Negò ritrarre i corridori e il cocchio.
     Dai saldi cocchi allor rapidi a terra
     Ambo balzâr, del sommo Giove il figlio,
     E quel del Dio dell’armi: avean gli aurighi
     I criniti corsier tratto vicini.
All’impeto dei passi rimbombonne
     Alto la terra. Come due macigni
     Divelti da montana erta giogaia
     L’un sull’altro dirupansi, e nell’alta
     Ruina traggon seco e pioppi e querce,
     Finchè batton sul fondo; essi del pari
     Ruinar fragorosi uno sull’altro.
     Dei Mirmidón la città tutta echeggia
     Al loro grido, e l’inclita Iaolco,
     Elice ed Arna e la feconda Antia
     Così sonanti s’avventâr. Profondo
     Tuonò Giove possente, e giù dal cielo

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