E l’ira il core gli colmò. D’allora
Ardon gli umani sui fumanti altari
Le bianc’ossa agli Dei. Ma corrucciato
Sì gli parlò l’adunator dei nembi
«Giapezio, mastro d’ogni astuzia, il vezzo
D’ordire inganni tu giammai non smetti!»
Sì l’infallibil nume irato disse,
E da quell’ora in cor serbando eterna
La rimembranza dell’inganno, ai grami
Terrestri abitator negò del fuoco
La perenne virtù. Ma lo deluse
Di Giapeto il buon figlio, a lui furando
Dai cieli in cava lente i rai perenni.
N’ebbe punto il Tonante il cor profondo,
E infiammato di sdegno allorchè vide
Rapito il fuoco dall’eterea vôlta
E agli uomini renduto, apprestò tosto
Per punirli del dono un rio malanno.
Per suo comando l’inclito Vulcano
Formò d’argilla un corpo, aspetto e volto
A vereconda vergine simíle,
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