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Ne fa sentir la garrula cicala,
Battendo l’ali, eterno, acre il suo metro,
Oltre l’usato allor la capra impingua,
Nettare è il vin, la femina è lasciva,
E l’uomo è fiacco: chè ginocchia e testa
Gli abbatte il Sirio e gli rïarde il volto.
L’ombra d’un antro ti ristori allora,
E vin di Biblo e lattea torta e latte
Di capra nati non nutrente, e carne
Di capro primo nato, e vaccherella
Del bosco alunna e ancor non madre. All’ombra
Bevi sdraiato rubicondi nappi,
E di vivande ti rinfranca il petto,
Mentre il fiato di Zefiro söave
Ti molca il viso, e ti susurri accanto
Chiara d’alpestre rupe onda perenne,
Di cui temprin tre parti una di vino,21
Come pria d’Orïon l’astro fulgente
In cielo appar, sollecita i famigli
A trebbiare di Cere i sacri doni
In aia liscia, e in piano all’aure aperto,
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