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     Trapassa il cuoio, ed ogni schermo è vano,
     E della capra ancor gl’ispidi ciuffi.
     Pure sparmia l’agnel di Borea il soffio,
     Perchè d’un anno intier la lana il cuopre.
     Il veglio accanto al focolar rannicchia;
     Pur non offende il rugiadoso volto
     Della fanciulla, che al fidato fianco
     Della madre s’asside ancora ignara
     Degli arcani di Venere leggiadra;
     Quando uscita del bagno, e unta di pingue
     Olio le molli membra entro i recessi
     Della magion la notte ella si corca,
     Mentre infuria la bruma, e i piè si rode16
     Nel suo ricetto rattristito il polpo
     Dall’inedia costretto, esca nessuna
     Non gli mostrando il sole, onde si sfami.
     Chè sulle genti allor fosche il sembiante
     Il sol si volve, e tardo ai Greci appare.
     Le belve allor dei boschi abitatrici,
     Di corna armate o inermi, alle selvose
     Valli si fuggon con digiune gole.

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