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a loro non oscuro nè incognito, per aver noi eziandìo quelli governato, e non ci potendo essi tacciare di poltroneria e di viltà, non vorranno venire a prova del nostro valore, ed aspettare l’impeto di voi altri, cui nè per grandezza di corpi, nè per esercizio di armi, sono in guisa alcuna comparabili. Marciamo dunque, più presto che possiamo, sopra Roma sede dell’imperio, ed alle altre cose darem sesto dipoi, affidandoci a’ divini voleri, ed alle forze de’ corpi vostri e delle armi. Avendo in tal guisa parlato Severo, gli fu corrisposto da’ soldati con liete grida ed applausi, chiamato augusto e Pertinace, ed offertogli di mettersi per lui ad ogni rischio.

Ma Severo, non gli parendo dover frapporre il menomo indugio, comanda loro d’indossare più presto che possono le armi, e li fa porre in marcia per Roma. Distribuendo quindi le razioni e tutt’altro che occorre, restrigne a più potere il cammino, e senza posare in alcun luogo, dava spazio appena a’ soldati di respirare dalla fatica durata. Egli poi, posto in bando ogni lusso e mollezza imperiale, affratellandosi, anzi versando sempre fra’ primi travagli, era in modo accetto a’ soldati, e sì da loro venerato, che per esso avrieno ardito ogni estremo. Ma poiché traversata l’Ungheria, se ne venne