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mo, avviso di questo editto de’ soldati. La moglie e la figlia, unendosi alla ciurma degli scrocconi, lo indussero a levarsi di tavola, ed andare a vedere di che si trattasse, e nell’andare lo esortano a non lasciarsi scappare di mano l’imperio, potendo egli, come ricchissimo, soperchiare ogni altro ne’ doni. Di maniera che, giunto che fu alle mura, cominciò a gridare ad alta voce, che darebbe loro quanto volessero, possedendo egli infinite ricchezze, e tesori rigurgitanti d’oro e d’argento. Nel medesimo tempo Sulpiziano uomo ancor esso consolare, prefetto di Roma, e suocero di Pertinace, dicea all’imperio. I soldati però presero sospetto di lui, temendo che, come parente di Pertinace, venisse con frode per vendicarne la morte. Onde, calate le scale, tirarono su’ muri Giuliano, non volendo aprire le porte, prima di restare di accordo del prezzo. Entrato dentro costui, subito promise di ristaurare le onorificenze e le statue di Comodo tolte via dal senato, concedere a’ soldati quella licenza che sotto lui aveano goduta, e dare loro tanti denari, quanti nè chiedere nè sperare potrebbero, e di presente, gli si avendo in sua casa. Dalle quali promesse commossi i soldati ed in grande speranza saliti, dichiarano Giuliano imperadore, e danno a lui il cognome di Comodo. Di poi a bandiere spie-