nendo quella pestilenza, non men che la ingorda voglia sua di denaro, ne sparlavano apertamente ne’ teatri ed in ogni altro pubblico luogo. Un giorno poi molto popolo, tutto ad un tratto, corre in gran furia da Comodo che villeggiava fuori della città, e ad alte grida gli chiede la testa di Cleandro. Risuonava la villa di tumulto strepitoso, nè il rumore delle risuonanti voci giugnea alle orecchie di Comodo, che Cleandro tenea con arte a imbestialire di libidini nella parte più remota del palazzo; quando eccoti a un tratto, che per comando di Cleandro, si spigne fuori di quello a tutta corsa la cavalleria della guardia, e sbaraglia e ferisce quanti cadono a lei sotto mano. Nè il discacciato popolo era in istato di far fronte ad armali e cavalieri. Datosi dunque a una precipitosa fuga è respinto entro la città, lasciando de’ morti non solo i passati a fil di spada dalla cavalleria, ma eziandio i calpestati da’ cavalli, e quelli che nella calca rimasero infranti. Il gran macello però fu fatto sulle porte di Roma. Quei ch’erano dentro, intesa la disgrazia de’ suoi, sbarran le case, e, saliti su’ tetti e sulle alture, scagliano addosso ai cavalieri tegole e sassi. Rivoltata fortuna, perchè non si combaltea più d’appresso, ma dall’alto senza pericolo del popolo combattente, la cavalleria ferita la più parte, nè va-