vedere le domestiche mura. Ma ce ne distoglie il pensiere di doversi rivolgere da questa impresa onorata, e ci consola la speranza di poter godere a tempo opportuno le dolcezze di Roma. Ma che dico! Ivi è Roma, ove sei tu, o imperadore. Vituperevole poi, non che pericolosissima cosa sarebbe, lasciarsi indietro non compita la guerra, e ne imbaldanzirebbero i barbari, che terrìeno per fermo esser questa una fuga suggerita da viltà, e non un desiderio di rivedere la patria. Qual vanto però sarebbe il tuo, se vinti i nemici, e portati i confini dell’imperio fino all’oceano, entrassi in Roma glorioso e in trionfo, trascinandoti incatenati a’ tuoi piedi questi re e signori de’ barbari? In sì fatto modo, con queste arti, i romani nostri antenati si rendeano grandi e memorevoli. Sciogliti eziandio dal timore di novità che passino far pericolare il tuo stato. Imperocché hai qui teco il fior del senato, hai qui teco a difender l’imperio quanti mai vi sono soldati, hai qui teco i tesori di un ricchissimo erario. Pensa finalmente all’alto effetto dell’adorata immagine paterna, che si rimanendo impressa ne’ cuori di tutti i magistrati, te li rende, più che non credi, devoti e fedelissimi. Questo assennato discorso di Pompejano raffrenò alcun poco l’ardore del giovinetto, il quale non