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istoria libro viii. 273


lenza, ma piuttosto per adattarsi a’ tempi, e non dar calci alla contraria fortuna, scoppiando la più parte di rabbia e di dolore di vedersi rapito quello ch’essi si erano scelti, e regnare colui ch’avea eletto il senato. Massimo, impiegati due giorni a celebrare i sngrifizj, nel terzo riunì l’esercito in una pianura, e salito in tribunale così parlò: Questa pace che voi in luogo della guerra godete, vi fa manifesto qual utile abbiate ritratto dal pentirvi e riconcigliarvi co’ romani, riprendendo la riverenza che dovete agl’iddìi, pe quali avete giurato quel giuramento ch’è il più grande e santissimo sostegno di questo principato. Se volete dunque goder sempre di questi vantaggi, vi si conviene esser fedeli al senato e popolo romano, e a noi imperadori, che di loro unanime consentimento, e per la grandezza della prosapia e delle imprese ci siamo, come per gradi, a questo imperio elevati. Imperocché non è già esso imperio un patrimonio che sia proprio di un solo, ma lo si appartien tutto intiero a quell’augusta Roma ch’è la sola depositaria delle comuni prosperità. Noi non ne siamo che gli amministratori ed i procuratori, e perciò ci dovete esse/re riverenti e rispettosi, tenendo per fermo che, se vi comporterete con moderazione, saremo per farvi vivere una vita