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istoria libro viii. | 269 |
gono le loro mogli e i figliuoli, congiurarono di ammazzarlo, per dar fine una volta a que’ mali che facea loro soffrire quel lunghissimo assedio, e sbrigarsi medesimamente di guerreggiare in grazia di un tiranno la propria patria, e di rendersi odiosi a tutti e detestabili. Onde, preso animo, sul punto di mezzo giorno corrono al padiglione imperiale, ed unendosi loro le guardie stesse, strappan prima la sua immagine dalle bandiere, e poi lui, uscito per parlare, col figliuolo tagliano a pezzi, e insieme il prefetto del pretorio e tutti i suoi più intimi favoriti. E sbalzati via i cadaveri con ogni scherno e vituperio, gli lasciarono pasto de’ cani e degli avvoltoj, e spiccatene le teste le inviarono in Roma al senato. Questo fine ebbero Massimino e il figliuolo, e così pagarono il fio della malvagità del loro governo.
Ma l’esercito, intesa la morte de’ principi, era come fuori di se, perchè non tutti egualmente se ne rallegravano, ed in ispezie gli ungheri ed i traci che lo aveano i primi elevato all’imperio: ma, non si potendo più tornare indietro, dissimulavano il loro dolore, e davan vista di prender parte alla gioja degli altri. Onde, posate le armi, tutti in pace si accostarono ad Aquileja, e fatta sapere l’uccisione di Massimino, dimandavano che si aprissero loro le porte,