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istoria libro vii. 247


quello nel quale aveano collocato ogni speranza, nè uscìa loro di mente che non vi era a sperare perdono da Massimino, il cui animo crudele essendo da tutti alieno, si trovava allora per giuste ragioni anche più irritato. Per la qual cosa si riunirono tutti, e dopo avere molto disputato, convennero che si trovando incorsi in tal pericolo, era duopo apparecchiarsi alla guerra, ed eleggere due imperadori, i quali dividessero tra loro il governo, acciò quell’eccessivo potere di un solo non si tramutasse in tirannide. Si adunarono dunque, non nella solita sala di udienza, ma nel tempio di Giove capitolino, il quale sta sopra un alto colle, ed è tenuto da’ romani in grandissima venerazione. Quivi, a porle chiuse e senza ammettervi persona, quasi esso dio fosse presente e ogni cosa vedesse, scelsero i più tra loro ragguardevoli e per età e per magistrature, acciò ponessero a partito su quali due personaggi cader dovesse la scelta: e questi così facendo, restarono a maggioranza di suffragi dichiarati imperadori Massimo e Balbino. Massimo avea comandato molte volte agli eserciti, ed era stato eziandio governatore di Roma, magistratura disimpegnata da lui con gran prudenza e accortezza, e sì modestamente che avea lasciato negli animi tutti un’ottima opinione de’ suoi buoni costumi. Balbino di nobiltà patrizia