gran lusso vestito con abiti tessuti d’oro e di porpora, e con effemminati ornamenti di collane, smaniglie, e corone fatte a uso di tiare e tempestate di ori e di gemme. Il garbo della veste traeva un po’ della stola sacerdotale fenicia, e dell’ammitto de’ medi. Aveva a vile il vestiario de’ greci e de’ romani, dicendo esser tessuto di vilissima lana, e non adoperava che drappi di seta. Danzava poi in pubblico a suon di tamburi e di pifferi per far festa al suo dio. Queste cose vedendo Mesa, ne sentiva dolore infinito, e con preghiere si affaticava a persuadergli di vestirsi alla romana, acciò nell’entrar Roma non offendesse con quel barbaro e strano vestiario gli occhi de’ romani, che sono alieni da tali delicatezze e le reputano più donnesche che virili. Ma egli, facendosi beffe degli avvertimenti della vecchia, e chiudendo le orecchie ad ogni consiglio che non gli venisse da’ suoi simili e adulatori, si mise in testa di assuefare il senato e popolo romano a quella moda, e in sua assenza far prova di quello che sarebbero per dire. Fattosi dunque ritrattare in una tavola al naturale qual era, cioè nell’uscire in pubblico e ne’ sagrifizj, e con seco il dio del cui sacerdozio era insignito, la mandò in Roma, con ordine che si situasse nel più alto luogo della sala del senato, e precisamente sopra la statua della vittoria, affinchè nel-