Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
istoria libro iv. | 161 |
lunga zimarra, che insino a’ piedi loro discende, e i più non eran venuti provisti nè d’arco nè di turcasso. E qual bisogno poteva aversene in una festa di nozze! Assassinata tanta gente, Antonino si parte con gran preda e prigioni, e senza che nessuno se gli opponesse, arde borghi e città, e a’ soldati dà licenza di rubare tutto quel che possono e vogliono.
I barbari dunque, tutt’altro aspettandosi, ebbero duopo di soggiacere a tanto infortunio. Ed Antonino di poi ch’ebbe penetrato nel cuore del regno, si ritirò co’ soldati già stracchi di rubare e di uccidere nella Mesopotamia. Di dove scrisse al senato e popolo romano di aver domo l’oriente, ed a se soggettate tutte quelle nazioni. Ed il senato, benché fosse al giorno di tutto (che non mai si possono adombrare le cose de’ principi) tuttavìa per timore e per adulazione gli decretò tutti gli onori della vittoria.
Soggiornando Antonino nella Mesopotamia per ispassarsi alle corse ed alla cacciagione, teneva seco due generalissimi Audenzio e Macrino. L’uno era un vecchio che niente intendeva di reggimento civile, ma passava per uomo pratico dell’ arte militare; l’altro poi era assai versato nell’esercizio del foro, e avea riputazione di giureconsulto di gran vaglia. A costui, come dappoco e ignorante generale, dava sempre briga