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108 | erodiano |
spade, fuggenti sempre, e nel fuggire solo saettanti. Ma dappoiché ebbero tra loro i soldati romani, e con essi si furono eziandìo condotti a vivere de’ fabbricatori di ferro, non mancarono loro nè armi nè virtù da maneggiarle.
Ite tanto prosperamente le cose d’oriente, e ordinate come fu paruto più a proposito, venne voglia a Severo di recar guerra al re degli atrenj, e invadere quel de’ parti come fautori di Negro. Ma , riserbandosi di porre in esecuzione tal progetti a più propizia stagione, andò seco stesso pensando come potrebbe senza sospetti far suo e de figliuoli l’imperio. Imperocché, lettosi dinanzi Negro, rimaneva Albino, che poco gli garbava, correndo già voce che con superbia inestimabile e arroganza si paoneggiasse del nome di Cesare, e che molti principali senatori gli avessero inviate nascostamente lettere esortandolo a ritornarsene in Roma, mentre Severo si trovava in lontane parti occupalo. Ed in vero tutta la nobiltà preferiva d’avere per imperadore Albino, che, oltre appartenere a nobilissima prosapia, mostrava esser giovane di buona aspettazione.
Le quali cose conoscendo Severo, fu di avviso di non iscuoprirsegli contrario, nè dargli addosso manifestamente colle armi, non parendo onesta cagione di palliarle, ma sì tastarlo colle