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LXXXV.

dallo stesso.


A chi legge, a chi ascolta, il mio libretto
     È parimenti accetto:
     Sol v’hanno de’ poeti
     Men del lettor discreti;
     Ma non li curo, e venga pur mia cena
     Ai commensali più che ai cuochi amena.


LXXXVI.

da ausonio.


Ecco di Rufo il simulacro: oh quanto
     Gli rassomiglia! E dov’è Rufo intanto?
     In cattedra. E che fa?
     Ciò che la statua qua.


LXXXVII.


Non dubitar, Cornelio,
     Che ognun ti creda autor di que’ sermoni:
     Il dubbio ci saria, se fosser buoni.