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fatti e teorie | 85 |
dal principio d’Archimede: l’acqua deve essere salita nel vaso A alla stessa altezza cui si trova la base superiore (emergente) del cilindro b. Ciò posto è chiaro che l’equilibrio di tutto il sistema non viene alterato se si fissa il setto al vaso B, e si toglie il peso del solido b emerso dall’acqua, il quale diventa così inutile.
Arriviamo pertanto alla seguente conclusione:
Se sono dati due vasi comunicanti contenenti un medesimo liquido, in uno dei quali si trovi una soluzione, e se i due vasi sono separati da un setto semipermeabile, la pressione della soluzione, in quanto si concepisca la soluzione stessa come un gas, viene misurata dalla differenza di altezza del solvente nel primo e nel secondo vaso.
L’esistenza di una pressione così intesa si traduce dunque nella ipotesi di un fatto, che fu osservato sperimentalmente da Pfeffer; e la pressione anzidetta prende il nome di osmotica.
«La pressione osmotica di una soluzione è proporzionale alla concentrazione, ed inversamente proporzionale al volume».
Questo fatto, che si verifica sperimentalmente in modo assai approssimato per le soluzioni diluite (Pfeffer), corrisponde dunque alle medesime ipotesi rappresentative che si traducono, pei gas, nella legge di Boyle.
Van’ t’ Hoff, ravvisando appunto questa legge nel fatto osservato da Pfeffer, fu tratto a prevedere che sussista ancora per le soluzioni la legge di Gay Lussac, la quale prende qui la forma: