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328 capitolo vi

osserviamo intanto che non si saprebbe veramente attenersi nella pratica ad una regola così semplice.

Infatti coloro che vi aderiscono non sono poi capaci di sostituire qualcos’altro alle numerose discriminazioni di casi senza legame apparente, cui il fisiologo perviene apprezzando certe differenze in rapporto ai fini della vita.

I fisicisti risponderanno che queste sono spiegazioni verbali senza senso e senza valore, un velo gettato sulla nostra ignoranza, che si può ben togliere senza rimpianto, se pure null’altro venga sostituito al suo posto.

Così sarebbe infatti se le espressioni teleologiche dovessero prendersi nel senso di un vitalismo mistico, confondendo il punto di vista rappresentativo della conoscenza e quello attivo della volontà.

Ma si può trovare in esse un significato positivo e perciò contestiamo sotto questo aspetto la critica dei fisicisti!

Non è vero che l’utile o il danno di un vivente sieno espressioni vuote di senso, poichè esse racchiudono un fatto che può essere sperimentalmente conosciuto.

Non è vero che le spiegazioni ove si fa appello all’idea che qualcosa risponde ad un fine della vita sieno prive di valore, poichè dall’invocare simili circostanze determinanti si ottengono in varii gruppi di fenomeni delle previsioni significative.

Ed è in vista di ciò che, nonostante tutte le repugnanze, la spiegazione teleologica permane nelle scienze della vita.

Resta soltanto da darne una conveniente interpretazione, e da mostrare che questa non implica più un irriducibile contrasto collo spirito del determinismo meccanico.

Distinguiamo due tipi di spiegazione in cui entra in diverso modo l’idea di un fine:

1) La spiegazione psicologica ove si considera un certo fine come motivo dell’azione volontaria di un vivente.
2) La spiegazione più propriamente biologica ove si considera la struttura di un organo in rapporto alla funzione che esso deve compiere, o in generale si cerca di rappresentarsi certi caratteri biologici o certe reazioni del plasma ecc. come rispondenti a certe utilità.

Il primo caso si lascia subito riattaccare al determinismo consueto, imperocchè riconosciamo come causa dell’azione non propriamente il fine proposto, ma la sua rappresentazione, che risulta dal rievocare ed associare in diversi modi delle sensazioni precedenti.

Il secondo caso difficilmente si riconduce al primo, a meno che non si ricorra all’ipotesi di una Provvidenza, la quale determini la realtà attuale subordinatamente allo scopo di un futuro, così come noi stessi foggiamo una macchina capace di esercitare certe funzioni.

Ora, chiunque voglia fare astrazione dal valore morale e religioso di una