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304 capitolo vi


Ma esaminiamo le conseguenze a cui si è condotti dagli sviluppi della teoria.

Un sistema materiale S si muova rispetto all’etere di una traslazione p. es. uniforme.

Due punti materiali elettrizzati A e B, legati ad S, non esercitano più fra loro una semplice azione elettrostatica, ma generano due correnti la cui azione amperiana diminuisce la prima. A vero dire questa correzione sarebbe da considerare in senso positivo come non eistente se essa non dipendesse dalla posizione di A e B rispetto al senso della traslazione, giacchè in tal caso non potrebbe essere misurata da un osservatore trasportato con S, bensì soltanto da chi potesse fare confronti con ciò che avviene nell’etere immobile. Ma la suddetta azione amperiana dipende dalla direzione della retta AB, e però diventa virtualmente constatabile con esperienze interne ad S.

Un’esperienza ottica effettiva, compiuta da Michelson nel 1881 e ripetuta da questo stesso sperimentatore insieme a Morley nel 1887, risponde appunto al problema posto dalle considerazioni precedenti.

Si tratta schematicamente di questo:

In S sono dati tre punti A, B, C vertici di un triangolo isoscele, rettangolo in A; AB è la direzione del moto traslatorio di S, AC è perpendicolare a questa; allora le velocità di propagazione della luce da A in B, e da A in C debbono essere diverse.

L’esperimento fatto sulla terra, presa come sistema S, non lascia constatare alcuna differenza; orbene il calcolo di questa differenza mostra che essa è dell’ordine del quadrato dell’aberrazione e però dovrebbe essere apprezzabile!

In tal modo dall’esperienza di Michelson si è tratta la conferma del principio di relatività: mediante esperienze ottico-elettro-magnetiche interne ad un sistema mobile, non si può determinare il moto traslatorio di questo rispetto all’etere.

Per spiegare tale resultato negativo Lorentz stesso e Fitz-Gerald hanno fatto l’ipotesi che tutte le lunghezze dei corpi in moto subiscano un piccolo accorciamento nel senso della traslazione; quindi le distanze AB, AC che nell’esperimento appariscono uguali, in realtà (cioè rispetto all’etere) sieno da riguardare come diverse.

Per rendere plausibile questo accorciamento (che per la terra è dell’ordine del quadrato dell’aberrazione) e per ottenere la spiegazione completa del principio di relatività (almeno nel caso della traslazione uniforme) si è ricorso ad altre ipotesi, cioè che le forze molecolari da cui in definitiva dipendono le dimensioni dei corpi sieno d’origine elettro-magnetica, che la materia stessa sia una riunione di elettroni (§ 31) e che questi in luogo di conservare una forma sferica invariabile (Abraham) subiscano una contrazione come se l’etere prema su di essi nel movimento, e si riducano quindi ad ellissoidi schiacciati,