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212 | capitolo v |
Chiariti i fatti supposti nella misura del tempo, crediamo ancora opportuno avvertire che non si sarebbe in alcun modo autorizzati a ritenerli come verità necessarie. Due clessidre si sono vuotate una volta in modo contemporaneo, come escludere a priori che in un’esperienza successiva una di esse non si vuoterà prima dell’altra?
Contro la possibilità dell’ipotesi si addurrebbe invano il sentimento di evidenza che accompagna il postulato della misura del tempo. Infatti tale evidenza tiene soltanto a ciò che il postulato esprime la condizione necessaria perchè la durata possa essere associata ad altri dati sensibili nel concetto di un fenomeno; ma il verificarsi di codesta condizione costituisce propriamente il fatto, sperimentalmente riconosciuto, di cui si tratta: la realtà obiettiva della durata.
§ 8. Sulla indipendenza del tempo dal luogo.
Ammettiamo il postulato analizzato nel precedente paragrafo; la misura del tempo riesce stabilita in un dato luogo, per modo che la variarle «tempo» resta fissata in ogni istante a meno di una sostituzione lineare intera:
τ = at + b.
Le costanti a, b dipendono da due scelte convenzionali arbitrarie; cioè dalla scelta dell’unità di misura, e dalla scelta dell’istante iniziale.
Per paragonare due durate in luoghi diversi A, B si presentano due criterii:
Che i due criterii di confronto si accordino nel medesimo giudizio sulle durate uguali in luoghi diversi, si può ritenere implicito nello stesso postulato anzidetto, congiunto alla supposizione geometrica fondamentale delle simmetrie fenomeniche (omogeneità dello spazio), ma soltanto sotto la condizione che A e B trovinsi in quiete relativa, e dopochè si sia verificato che l’intensità del fenomeno non influisce sulla velocità di propagazione.
Immaginiamo una doppia segnalazione reciproca da A in B e da B in A, p. es., mediante la luce; i due tempi di propagazione debbono, a condizioni