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210 capitolo v

che vi sia accordo nella sensazione del ritmo musicale, è un fatto incontestabile, almeno per rispetto agli orecchi esercitati alla musica.

Si può dubitare tuttavia che si tratti di una sensazione originaria dell’udito, piuttostochè del resultato di un’associazione con certi movimenti muscolari, i quali in una serie di successive ripetizioni tendono ad effettuarsi regolarmente.

Tutti sanno che i musicisti ricorrono ad un processo di questo genere allorchè si tratta di battere il tempo. E l’isocronismo dei movimenti lentamente ripetuti della mano o del piede, è forse in connessione col ritmo di certe funzioni organiche e segnatamente del polso.

Si potrebbe dire pertanto che l’orecchio ci porge la nozione dell’isocronismo, e quindi delle durate, per associazione col senso muscolare, come analogamente l’occhio ci fornisce la nozione delle lunghezze per associazione coi dati del tatto.

Ma qualunque veduta si abbia intono a ciò, resta sempre che «mediante una serie di movimenti ripetuti, accompagnati da suoni, possiamo stabilire una misura del tempo, nella quale gli uomini si accordano in limiti ristretti ma abbastanza precisamente, come dinanzi ad un oggetto di sensazione propria della durata».

E poichè alle sensazioni di durata si riferiscono di continuo previsioni avverate, possiamo parlare della durata come di qualcosa di reale.

Ogni orologio le cui indicazioni rispondano alla sensazione anzidetta, dovrà dunque riguardarsi come un misuratore del tempo fisico, a differenza di un altro orologio convenzionale qualsiasi. E per mezzo di un tale orologio noi avremo quindi il mezzo di estendere la misura naturale del tempo al di là dei limiti ristretti a cui ci costringe il ricorso ad una serie musicale isocrona.

L’accordo fra le sensazioni di durata già ci assicurano un certo accordo fra gli orologi graduati naturalmente; ma un accordo più preciso, ove si riscontri, costituirà un fatto generale che ci proponiamo di riconoscere.


§ 7. Il postulato della misura del tempo.

Nell’estendere l’apprezzamento comparativo delle durate, al di là dei limiti della sensazione primitiva, seguiamo la medesima via che si suole percorrere in questioni analoghe.

Partiamo dalla supposizione che l’uguaglianza delle durate esprima un carattere reale dei fenomeni, entro limiti più precisi di quelli fissati dalla sensazione immediata. Allora siamo indotti a supporre che questa uguaglianza debba riscontrarsi per tutti quei fenomeni svolgentisi in determinate condizioni costanti, che riattacchiamo a cause uguali.

Sebbene una supposizione siffatta sia priva di un senso rigoroso, essa ci conduce direttamente a ricercare